I ricercatori di ATLAS esplorano nuovi fenomeni con la rilevazione di anomalie tramite apprendimento automatico non supervisionato

Ricercatori ATLAS esplorano nuovi fenomeni tramite apprendimento automatico non supervisionato

Dal suo inizio nel 2009, il Large Hadron Collider (LHC) è stato uno strumento pionieristico per l’esplorazione scientifica, alla ricerca di particelle e fenomeni che vanno oltre i confini del Modello Standard. Tuttavia, i metodi tradizionali di ricerca di nuova fisica coinvolgono intricate simulazioni al computer per confrontare i dati di collisione osservati con le previsioni del Modello Standard e altri modelli teorici. Questi metodi sono limitati dalla loro dipendenza da modelli e simulazioni predefinite, potenzialmente trascurando fenomeni inaspettati che non si conformano a questi modelli. Per affrontare questa limitazione, i ricercatori si sono rivolti all’apprendimento automatico non supervisionato per rilevare anomalie nei dati di collisione che potrebbero indicare nuovi fenomeni di fisica.

Attualmente, la ricerca di nuova fisica coinvolge simulazioni che emulano il comportamento di particelle conosciute secondo modelli stabiliti. Confrontare dati di collisione accurati con queste simulazioni aiuta a identificare deviazioni che potrebbero suggerire nuovi fenomeni. Un altro approccio cerca lievi variazioni rispetto allo sfondo del Modello Standard, indicative di processi nuovi. Tuttavia, questi metodi sono limitati dalle ipotesi intrinseche ai modelli testati.

Una nuova ricerca dell’ATLAS ha proposto un nuovo quadro per l’analisi dei dati di collisione del LHC. Questo quadro sfrutta tecniche di apprendimento automatico non supervisionato, in particolare una rete neurale intricata nota come autoencoder. A differenza dei metodi esistenti, questo approccio è agnostico rispetto al modello e libero da aspettative preconcette.

Il quadro introdotto prevede l’addestramento di una complessa rete neurale sui dati di collisione effettivi del LHC. Questa rete, composta da numerosi “neuroni” interconnessi, è nota come autoencoder. Il processo di addestramento prevede la compressione dei dati di input e successivamente la decompressione, confrontando l’input iniziale con l’output. Attraverso questo confronto, l’autoencoder può identificare eventi di collisione “tipici” e filtrarli, lasciando eventi che deviano dalla norma – definiti “anomalie”. Le anomalie indicano casi in cui la rete neurale fatica a identificare schemi, suggerendo la possibilità di nuovi fenomeni di fisica. Per valutare queste anomalie, i ricercatori analizzano le masse invarianti delle particelle nelle collisioni e valutano se possono essere attribuite a processi del Modello Standard.

Il successo di questo approccio può essere misurato identificando e caratterizzando eventi anomali. Le anomalie rilevate dall’autoencoder vengono esaminate per la loro potenziale connessione con nuovi fenomeni di fisica. Maggiore è la differenza di ricostruzione tra i dati di input e di output, maggiore è la probabilità che l’evento sia associato a nuova fisica oltre il Modello Standard.

In conclusione, i metodi convenzionali di ricerca di nuova fisica presso il LHC, sebbene efficaci, sono limitati dalla dipendenza da modelli e simulazioni predefinite. Il nuovo approccio proposto dai ricercatori introduce l’apprendimento automatico non supervisionato attraverso gli autoencoder, consentendo un’analisi agnostica del modello dei dati di collisione. Questo quadro ha il potenziale per svelare fenomeni inaspettati che sfuggono ai metodi convenzionali. Concentrandosi sulle anomalie rilevate dall’autoencoder, gli scienziati possono svelare i misteri delle particelle e delle interazioni al di là della nostra attuale comprensione dell’universo.