Un certo pericolo si nasconde lì’ Come l’inventore del primo chatbot si è rivoltato contro l’IA
Un pericolo si nasconde lì' Come l'inventore del primo chatbot si è ribellato contro l'IA

Nel 1966, un professore dell’MIT di nome Joseph Weizenbaum creò il primo chatbot. Lo mise nel ruolo di uno psicoterapeuta. Un utente avrebbe digitato un messaggio su una macchina per scrivere elettrica collegata a un mainframe. Dopo un attimo, lo “psicoterapeuta” avrebbe risposto.
Utente: Gli uomini sono tutti uguali. Chatbot: IN CHE SENSO Utente: Sono sempre a romperci le scatole per qualcosa o un’altra cosa. Chatbot: PUOI PENSARE A UN ESEMPIO SPECIFICO Utente: Beh, il mio ragazzo mi ha costretta a venire qui. Chatbot: IL TUO RAGAZZO TI HA COSTRETTA A VENIRE QUI Utente: Dice che sono depressa gran parte del tempo. Chatbot: MI DISPIACE SENTIRE CHE SEI DEPRESSA
Weizenbaum pubblicò questo scambio di esempio in un articolo di rivista che spiegava come funzionava il chatbot. Il software era relativamente semplice. Esaminava l’input dell’utente e applicava un insieme di regole per generare una risposta plausibile. Chiamò il programma Eliza, in onore di Eliza Doolittle in Pigmalione. La ragazza dei fiori cockney nella commedia di George Bernard Shaw usa il linguaggio per produrre un’illusione: eleva la sua eloquenza al punto da poter passare per una duchessa. Allo stesso modo, Eliza parlava in modo tale da creare l’illusione che capisse la persona seduta davanti alla macchina per scrivere.
Dal The Guardian (Regno Unito) Visualizza l’articolo completo